Boccaccio racconta Giotto

Introduzione

Boccaccio racconta Giotto

Esercizi

Giotto godeva di grande fama già presso i suoi contemporanei. A testimonianza di ciò, lo scrittore fiorentino Giovanni Boccaccio gli dedica una delle novelle della sua opera più famosa, il Decameron.

Boccaccio esalta la sua arte poiché in grado di imitare perfettamente la natura sino al punto di trarre in inganno i sensi degli osservatori. Tema della novella è che spesso le virtù e l’ingegno più alti si nascondono in uomini dall’aspetto sgradevole.

 

Mentre messer Forese da Rabatta1 e maestro Giotto, pittore, tornano dal Mugello2, l’uno si beffa, scherzosamente, dell’aspetto smunto dell’altro.

Carissime donne3, accade spesso che, come la Fortuna a volte nasconde grandissime virtù in persone che esercitano umili mestieri, così in uomini di aspetto bruttissimo si trovano ingegni meravigliosi riposti dalla Natura.

Il che si vide chiaramente in due cittadini fiorentini dei quali vorrei parlarvi brevemente.

Il primo, che fu chiamato messer Forese da Rabatta, essendo piccolo e sformato nel corpo, col viso piatto e cagnesco, che sarebbe sembrato orribile anche per uno qualsiasi dei Baronci4, fu così esperto nelle leggi da essere ritenuto da molti uomini di cultura un archivio di diritto civile.

E l’altro, di nome Giotto, fu dotato di un ingegno tanto eccellente che non esiste niente creato dalla Natura, madre e generatrice di tutte le cose per mezzo dei movimenti dei cieli, che egli non sapesse dipingere con lo stilo o la penna o il pennello in maniera così simile a quella, che anzi sembrava proprio quella, tanto che molte volte la vista degli uomini fu tratta in errore, credendo che fosse reale ciò che era solo dipinto.

Egli può essere ritenuto, a ragione, una delle luci della gloria fiorentina, avendo ridato splendore all’arte del dipingere che, per molti secoli, era rimasta sepolta sotto gli errori di alcuni, che dipingevano più per dilettare gli occhi degli ignoranti che per compiacere l’intelletto dei saggi: ed è ancora più meritevole perché ottenne la gloria con grandissima umiltà, rifiutando sempre di essere chiamato maestro. Tale titolo, anche se rifiutato, risplendeva in lui più di quanto fosse desiderato e ambito da tanti altri che sapevano meno di lui o dai suoi discepoli. Ma, sebbene la sua arte fosse grandissima, egli non era nel corpo e nell’aspetto più bello di messer Forese.

Ma, tornando alla novella, dico che messer Forese e Giotto avevano dei possedimenti nel Mugello; ed essendo messer Forese andato a vedere i suoi, nel periodo estivo in cui i tribunali sono in vacanza, mentre andava su un cattivo ronzino da nolo, incontrò il già citato Giotto, il quale, dopo aver visitato le sue terre, se ne tornava a Firenze. Tutti e due, mal conciati, sia per la cavalcatura che nel vestire, come due vecchi tornarono insieme, facendosi compagnia.

Avvenne, come spesso vediamo accadere in estate, che un’improvvisa pioggia li colse di sorpresa; essi, più velocemente che poterono, si rifugiarono nella casa di un contadino loro amico e conoscente.

Dopo un certo tempo, poiché non smetteva di piovere e dovevano essere in giornata a Firenze, fattisi prestare dal contadino due mantellacci vecchi e due cappelli molto consumati, poiché di migliori non ce n’erano, cominciarono a camminare.

Dopo che ebbero camminato per un po’ e si furono inzuppati di fango per gli schizzi che i ronzini facevano con gli zoccoli, andando nelle pozzanghere (cosa che non accrebbe la loro rispettabilità), nel momento in cui il cielo si andava rischiarando, essi, che erano stati a lungo in silenzio, cominciarono a parlare.

Messer Forese, cavalcando e ascoltando Giotto, che era un ottimo conversatore, cominciò a guardare il maestro dal capo ai piedi, dappertutto e, vedendolo così brutto e malridotto, senza pensare al proprio aspetto, cominciò a ridere e disse:

«Giotto, tu pensi che, se, per caso, ci venisse incontro un forestiero che non ti avesse mai visto, crederebbe che tu sei il migliore pittore del mondo, come, in realtà, sei?».

E Giotto, prontamente, gli rispose:

«Messere, allora egli, guardando voi, potrebbe credere che sapete l’abicì?».

Udendo ciò messer Forese riconobbe il suo errore e si vide ripagato con la stessa moneta.

Adattamento da Giovanni Boccaccio, Decameron TEA, Torino, 1989

1. Forese da Rabatta: dotto giurista della prima metà del secolo XIV che rivestì diverse cariche pubbliche a Firenze.

2. Mugello: regione della Toscana settentrionale poco a nord di Firenze.

3. Carissime donne: protagonisti del Decameron sono alcuni giovani che per dieci giorni si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla peste nera. Per ingannare il tempo, essi, a turno, si raccontano delle novelle. Qui a parlare è Panfilo, che si rivolge al resto del gruppo.

4. Baronci: antica famiglia fiorentina i cui membri erano noti per la proverbiale bruttezza.

2

1

4

3

Giotto, Padova, Cappella degli Scrovegni.

Quattro scene dalle Storie di San Gioacchino e Sant’Anna e della Vita di Cristo:

1. Annuncio ad Anna, 1303-1305.

2. Incontro tra Gioacchino e Anna alla Porta Aurea, 1303-1305.

3. Tradimento di Giuda (o Cattura di Cristo), 1303-1305.

4. Compianto su Cristo morto, 1303-1305.

Rispondi sul quaderno alle seguenti domande.

 

1. Chi sono i personaggi del brano?

 

2. Quali caratteristiche hanno in comune tra loro?

A) Bassa statura e scarso ingegno.

B) Aspetto sgradevole e grande virtù.

C) Corporatura robusta e umiltà.

 

3. Sottolinea nel testo tutti i passaggi in cui Boccaccio descrive le caratteristiche della pittura di Giotto.

 

4. Che cosa differenzia, secondo lo scrittore, la pittura di Giotto da quella degli artisti precedenti?

 

5. Come si conclude la novella?

 

6. Qual è, secondo te, la morale della novella?

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