Mi chiamo Iqbal Amir Allah

Introduzione

La verità di Iqbal Amir Allah

Dal diario del signor Amedeo

Il brano seguente è tratto da un romanzo del 2006 dello scrittore algerino immigrato in Italia e poi in America, Amara Lakhous. Nel romanzo lo scrittore affronta con ironia il tema dell’immigrazione, mettendo di fronte al lettore situazioni che fanno parte del quotidiano nel lungo percorso verso l’integrazione tra popoli diversi. Il messaggio che sembra trasparire è questo: non esiste una sola verità, ma tante verità che passano attraverso i pensieri di chi appartiene a culture differenti.

PER COMPRENDERE

Dopo aver letto il brano Rispondi alle seguenti domande.

 

1. Chi sono i personaggi del brano?

2. Che cosa è successo al protagonista?

3. Perché egli ritiene che sia un problema?

4. Quale atteggiamento mostra l’ispettore di polizia?

5. Qual è, invece, l’atteggiamento del signor Amedeo?

6. Che cosa crede, in un primo momento, il signor Amedeo quando Iqbal gli chiede aiuto?

Il signor Amedeo è buono come il succo del mango. Ci aiuta a presentare i ricorsi amministrativi, ci dà consigli efficaci per affrontare tutti i problemi burocratici1. Ricordo ancora come mi ha aiutato a risolvere il problema che mi ha causato l’ulcera2. Tutto è cominciato quando sono andato a ritirare il permesso di soggiorno in questura e mi sono accorto che avevano scambiato il mio nome con il cognome. Ho spiegato che il mio nome era Iqbal e il mio cognome Amir Allah, che è anche il nome di mio padre perché per tradizione in Bangladesh3 il nome del figlio o della figlia si accompagna a quello del padre. Purtroppo i miei tentativi sono stati vani. Andavo tutti i giorni al commissariato, finché l’ispettore un giorno ha perso la pazienza: «Io mi chiamo Mario Rossi e quindi non c’è differenza tra Mario Rossi e Rossi Mario, così come non ce n’è tra Iqbal Amir Allah e Amir Allah Iqbal!».

Poi, con il permesso di soggiorno in mano:

«Questa è la tua foto?».

«Sì».

«Questa è la tua firma?».

«Sì».

«Questo è il tuo indirizzo?».

«Sì».

«Questa è la tua data di nascita?».

«Sì».

«Quindi non c’è nessun problema, non è vero?».

«No, c’è un grosso problema. Mi chiamo Iqbal Amir Allah e non Amir Allah Iqbal!».

A quel punto si è arrabbiato e mi ha minacciato: «Non capisci niente. Se torni qui un’altra volta, ti strappo il permesso di soggiorno, ti porto all’aeroporto di Fiumicino e ti faccio salire sul primo aereo in partenza per il Bangladesh! Non voglio più vederti qui, hai capito?».

Ne ho parlato subito con il signor Amedeo, confidandogli che avevo paura di Amir Allah Iqbal e che sarebbero potuti derivare una quantità di problemi in futuro a causa di questo scambio di nome. Mettiamo per esempio che chi si chiama Amir Allah Iqbal sia un grande criminale o uno spietato spacciatore o un pericoloso terrorista come quel pakistano Yussef Ramsi catturato recentemente dagli americani. Se adottassi questa nuova identità, come farei a dimostrare che i miei figli sono miei veramente? Come farei a dimostrare che mia moglie è mia veramente? Cosa succederebbe se vedessero l’atto di matrimonio e scoprissero che il marito di mia moglie non sono io ma un’altra persona che si chiama Iqbal Amir Allah? Come farei a riavere i miei soldi dalla banca? Dopo questo lungo sfogo il signor Amedeo mi ha promesso che sarebbe intervenuto per liberarmi da quest’incubo.

Pochi giorni dopo ha mantenuto la promessa e mi ha accompagnato alla questura di via Genova. Era la prima volta che entravo in un ufficio di polizia senza dover aspettare un’ora o due. Ci aspettava il suo amico, il commissario Bettarini, che mi ha chiesto il permesso di soggiorno. Poi è uscito dall’ufficio, è tornato dopo pochi minuti, e proprio non ho creduto alle mie orecchie quando mi ha detto: «Signor Iqbal Amir Allah, ecco qui il suo nuovo permesso di soggiorno!».

Prima di ringraziarlo ho dato un’occhiata al volo alle prime righe del documento. Nome: Iqbal. Cognome: Amir Allah. Ho tirato un sospiro di sollievo, davvero mi ero tolto un peso di dosso. Uscendo dalla questura mi è venuta un’idea geniale: «Sa, signor Amedeo, mia moglie è incinta e fra poco sarò padre per la quarta volta. Ho deciso di chiamare mio figlio Roberto. Il suo nome sarà Roberto Iqbal!». Detto fatto. Mia moglie ha partorito un maschio e l’ho chiamato subito Roberto. È l’unico modo per evitargli la disgrazia dello scambio tra il nome e il cognome. Sarà impossibile cadere in errore perché Roberto, Mario, Francesco, Massimo, Giulio e Romano sono tutti nomi e non cognomi. Devo fare del mio meglio per risparmiare a mio figlio Roberto questi gravi problemi. Un buon padre deve badare al futuro dei propri figli.

1. problemi burocratici: problemi relativi a documenti e permessi.

2. ulcera: lesione dello stomaco.

3. in Bangladesh: il protagonista è originario del Bangladesh, uno Stato dell’Asia al confine con l’India.

Lunedì 26 gennaio, ore 22.05.

Questa sera, vicino a piazza Venezia, ho incontrato Iqbal. Mi ha detto che soffre di ulcera, poi mi ha guardato con tristezza dicendomi: «Amir Allah Iqbal mi ucciderà!». Il tono delle sue parole mi ha convinto a prenderlo sul serio. All’inizio ho pensato che Amir Allah Iqbal fosse una persona che lo minacciava e voleva ucciderlo veramente, per questo ho chiesto altre spiegazioni che potessero aiutarmi a capire. Ci siamo seduti in un bar.

«Hai fatto denuncia alla polizia?».

«Ho presentato più denunce, però mi hanno cacciato».

Per fortuna i miei timori non sono durati a lungo. Iqbal ha tirato fuori il permesso di soggiorno e mi ha raccontato la storia dello scambio tra il nome e il cognome. Si è soffermato a lungo sul problema della somiglianza dei nomi e mi ha raccontato una storia, quella di un uomo in Bangladesh impiccato per sbaglio perché il suo nome corrispondeva perfettamente a quello di un criminale pericoloso. Mi ha guardato trattenendo le lacrime: «Tu mi conosci, signor Amedeo, mi chiamo Iqbal Amir Allah e non ho niente a che fare con Amir Allah Iqbal! Sei l’unico testimone italiano in grado di salvarmi dalle accuse che mi saranno rivolte in futuro». Sono rimasto colpito dalle sue parole. Gli ho promesso che l’avrei aiutato e subito. Domattina chiamerò Bettarini.

 

Giovedì 30 gennaio, ore 23.19.

Questa mattina ho accompagnato Iqbal in questura. Il commissario Bettarini è riuscito a risolvere tutto in pochi minuti. La gioia di Iqbal era incontenibile. Dopo aver salutato il commissario Bettarini, ha insistito per invitarmi a bere un tè in un bar vicino. È davvero deciso a chiamare il suo prossimo figlio Roberto per facilitare il compito della polizia quando dovrà distinguere il nome dal cognome, e così eviterà al figlio la disgrazia della confusione dei nomi. Iqbal è fiero del fatto che suo figlio sarà il primo nella storia del Bangladesh a portare il nome Roberto. Poi ha aggiunto: «Io so che per voi italiani i nostri nomi sono difficili da pronunciare, ma così sono sicuro che a mio figlio gli italiani sorrideranno molto!».

 

(Riduzione e adattamento da A. Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, Edizioni e/o, Roma, 2006)

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